Il Parnaso, Canicattì e la poesia
di Angelo La Vecchia
Canicattì è sorta con i "segni" e i "destini" delle grandi Città: Roma è sorta lungo le rive di un fiume, il Tevere; Firenze, è sorta lungo le rive dell'Arno; Torino, è sorta lungo le rive del Pò per citare le grandi città d'Italia; Canicattì... è sorta lungo le rive del fiume Naro. E mentre Roma si è portata i segni e il destino del Potere (quello temporale e quello religioso); Firenze i segni e il destino dell'Arte; Torino i segni dell'industria; Canicattì.... il Parnaso, vale a dire la Poesia di tutti i tempi e di tutte le genti.
Non per niente, ad un certo momento della Storia, quel Giacomo I Bonanno Colonna -uno dei più grandi gestori del potere di tutti i tempi, letterato illuminato, umano, generoso, illuminante, signore della terra di Canicattì- avvertì forte il bisogno di incidere sul marmo ai piedi della Fama del "Petrappaulo" le parole immortali "Non vaga plus resonat tamen hic" ecc. che gli Immortali trascrissero, poi, nel primo Diploma d'Onore in termini veramente poetici con "Non vaga plus resonat tamen hinc in marmore sistens -sed in carminibus poetarum paesanorum nam homines ipsi loquantur", alludendo chiaramente alla Poesia degli Accademici, che nel Parnaso Canicattinese trovano eterna gloria.
Pertanto, ad un certo momento della storia, Canicattì si è trovata al centro dell'universo per esaltare, con personalità diverse e di varia estrazione, la P O E S I A in quanto parola, pensiero, sentimento e, sopratutto, amore per la vita e per le cose, anche per quelle più apparentemente inutili. In Accademia si sono come ritrovati spiriti eccelsi e sconosciuti, poeti che producevano versi da misurarsi col metro del sarto, e poeti che superavano il quintale! Il concentrato del sapere e delle esperienze dell'uomo nel corso dei secoli, si è ritrovato negli atti e nelle espressioni del nostro Consesso, occasionale strumento del POETA per eccellenza, il Creatore!
Nell'immediato dopoguerra 1915-18, intorno agli anni Venti, a Canicattì esisteva in Piazza Palma, un chiamiamolo così "Albergo-Ristorante", gestito dal "Cuoco-Poeta", don Ciccio Giordano, anima candida in cuore ardimentoso di leone; e la sua cucina, calda e accogliente, nelle lunghe sere d'inverno era luogo d'incontro da parte di..."na fazzulittata d'amici cu li murriti!"[1] E allora, chi erano questi "amici" del "Cuoco-Poeta", ecco: il farmacista Diego Cigna, i prof. Fofò Trupia e Lillì Sacheli ai quali, in breve tempo, si aggiunsero l'avv. Totò Sammartino, il sacerdote don Diego Martines, il dott. Gaetano Stella.
All'origine di tutto c'è la poesia di don Ciccio Giordano celebrata tutte le sere dai Trupia e dal Sacheli fino a quando il farmacista Cigna, tra il serio e il faceto, non intervenne con parole ostili e di biasimo: ne nacque una quasi rissa fatta di grida, risate, voci inconsulte e incomprensibili che si chiuse in pace. Il fatto venne alla conoscenza di altri perché i Contendenti non sapevano di essere stati ispirati dalla Poesia, dallo Spirito del Parnaso che era già in loro. E tutto diventò chiaro con la venuta dell'avv. Sammartino e del sac. don Martines i quali esaltarono la produzione poetica del Giordano e avvertirono di scoprire l'urgenza di elevare ad Accademia quella riunione di "Spiriti Eccelsi"; e fu un accorrere di altri poeti come l'insegnante Zagarrì, il commerciante in derrate Pietro Greco, il vinaio Giuseppe Bennici, l'avv. Francesco Macaluso, il sarto Peppipaci, gli amici del farmacista, Pietro Cretti, venditore ambulante di un carme proprio in onore e gloria di San Calogero, un venditore delle "piante della fortuna" col diavoletto di Cartesio, Falzone, inteso "Taganieddru" e altri.
L'intervento del Sammartino e del Martines fu decisivo per la rivelazione dei Valori storici, etici, sociali, caratteriali della "Secolare Accademia del Parnaso". Intanto si decise sulla classificazione degli Accademici in piena osservanza alle "particolari vocazioni dell'Alto Consesso" ispirato alla più grande umiltà, fratellanza, amore e carità: i poeti che producono versi "a quintali" vennero chiamati "Arcadi Maggiori", mentre quelli che si limitano a produrre opere definite e circostanziate vengono classificati come "Arcadi Minori"; anche perché il "Minore" (tanto per fare un esempio: Francesco Macaluso era un "Minore") non può aspirare a diventare "Maggiore" (come già classificato "Maggiore" il Bennici che si era impegnato a ...correggere la Divina Commedia scrivendo tonellate di versi ispirati di notte).
Si decise di "acclamare Presidente a vita" don Ciccio Giordano con segretario Pietro Cretti, che in gioventù aveva aspirato a fare il tipografo e si scoprì, da grande, poeta venditore ambulante di pettini e bottoni. Si diede ordine di stampare il "Diploma D'Onore" intestato alla "Universa Parnassia Canicattinensis - Jam Nova Arcadia Universitatis Petripauli - Non vaga plus resonat tamen hinc in mermore sistens sed in Carminibus Poetarum Paesanorum nam Homines ipsi loquantur - Sub Patrocinio Virorum Excellentium Ipsius Arcadus Pastores - Ciccius Giurdanus - secolari - Petrus Crettius Diploma D'Onore al Con-arcade ........ Canicattì ........ Il viaggiatore piazzista Salvatore Sammartino - Il presidente Francesco Giordano." Agli angoli, in alto, portava l'effige dell'asina con la scritta in corsivo piccolo "Terra mihi non sufficit" quale emblema della sapienza ("espressa in latino" a detta del padrone, don Decu Martines, Arcade Minore) e nell'alto angolo la fontana di "Petrappaulu", lo stemma di Canicatì. Sotto un "cane" con la scritta, "Questo cane è leone".[2]
[1] alla lettera traduciamo questa definizione dell'avv. Calogero Corsello, (un quasi archivio vivente): "una breve raccolta di amici presi dal ruzzo, dalla voglia di scherzare"
[2]Negli archivi del Parnaso esistono alcuni nuovi esemplari dove, su pergamena incorniciata con motivi floreali multicolori, sono stati aggiunti l'antico stemma della Sicilia (viso di fanciulla, alata, con tre gambe) banana e carruba (simbolo della vita) una lira (simbolo dell'arte) e un bevaio con la scritta "Lavati, possibilmente anche la mani".